lunedì 31 marzo 2014

Anvolt: 30 anni di solidarietà e successi

30 anni di Anvolt

30 anni di Anvolt

Parlare della storia di anvolt è come raccontare la vicenda di una grande famiglia perché è questo il termine che, meglio di altri, riassume il clima che da sempre ha contraddistinto l’attività dell’associazione. Anvolt è oggi, ed è stata in passato, una famiglia composta nel corso del tempo da un numero sempre maggiore di volontari, che opera nel campo del sociale con lo stesso spirito solidaristico che caratterizza un gruppo di persone legate da una parentela. Famiglia – quindi – è un termine che spiega alla perfezione gli inizi dell’associazione, il perché stesso sia stata creata e con quale scopi sia stata portata avanti.
Ecco come tutto è iniziato. Era il 1984 e alcuni di noi vivevano sulla propria pelle la triste vicenda del cancro. Ci si trovava insieme ad altre persone – e appunto ai loro parenti – nei corridoi dell’ospedale Niguarda di Milano, nel reparto di Radioterapia, alle prese con i problemi comuni che ci affliggevano. Alle difficoltà già di per sé portate dalla malattia si aggiungevano (per tutti, nessuno escluso) problemi pratici pressoché insormontabili.
Come far fronte all’esigenza di assistenza che i malati avevano quando non era la struttura pubblica a poterla soddisfare? Come conciliare la necessità di trasporti in ospedale per le cure dei propri parenti con le personali quotidiane esigenze lavorative, possibilmente evitando di spendere un patrimonio in taxi o trasporti privati? Ci si confrontava con i parenti degli altri malati arrovellandosi in cerca di una soluzione quando ci è venuto in mente di trovarcela da soli, creando una struttura no profit in grado di prendersi in carico un progetto del genere.
Un obiettivo enorme, certo, ma anche dal grande fascino e valore umano. Per questo siamo partiti con così grande impegno. Ci siamo rimboccati le maniche abbiamo creato una onlus circondandoci di tutte le persone che avevano la nostra stessa passione e le nostre medesime necessità, un’organizzazione di persone che, attraverso mezzi di trasporto propri e l’utilizzo del proprio tempo libero, si occupasse di chi era malato di cancro aveva bisogno di una mano. In breve ci siamo resi conto che un’organizzazione del genere non poteva basarsi solo sulle risorse personali ma aveva bisogno di fondi.
Per questo la via più funzionale al nostro operato che abbiamo pensato di utlizzare una metodologia di fund raising, vale a dire una raccolta fondi che ancora oggi – per la maggior parte – permette il sostentamento di tutte le attività dell’associazione. Abbiamo creato una squadra di volontari che chiamassero aziende e privati i cittadini per spiegare il progetto di Anvolt (questo il nome scelto) chiedendo in cambio una piccola offerta per sostenerlo. Con la garanzia – come è sempre stato – che ogni risorsa sarebbe stata utilizzata per le attività di sostegno ai malati di tumore, non per altro, all’insegna della trasparenza. Nella maggior parte dei casi abbiamo trovato una porta aperta e il sostegno dei nostri interlocutori. Non posso negare, ed è così ancora oggi, che qualcuno storca il naso al sentire che questo è il nostro metodo di raccolta fondi e in alcuni casi abbiamo ricevuto critiche anche gravi, ma difendo questo metodo perché nella vita la trasparenza è tutto e la solidarietà non ha strumenti migliori o peggiori per venire messa in atto.
La raccolta fondi telefonica è stata fin dagli esordi la più funzionale al progetto e proteggiamo a denti stretti questa scelta fatta ormai trent’anni fa con lo spirito di chi aveva a cuore la propria famiglia. Racconto questo perché per me oggi – a trent’anni di distanza da quei momenti – è fondamentale ricordare come alla base dell’attività di anvolt (di ogni sua attività da quel momento in poi) ci siano le esigenze dei cittadini. L’associazione è nata e ha strutturato la sua attività ascoltando le richieste di servizi in ambito oncologico da parte delle persone in difficoltà e cercando di rispondere in maniera positiva alle loro domande.
E così, attraverso assistenza ai malati e trasporti, abbiamo iniziato la nostra attività e capito che qualcosa di grande stava per nascere. Non è trascorso molto tempo che abbiamo compreso come non poteva essere solo Milano il luogo dove era necessario costruire un servizio del genere, ma tutta l’Italia. Abbiamo cominciato a inaugurare le prime delegazioni nel nord est, grazie all’aiuto di alcune persone indimenticabili per noi, come Renzo, volontario che ci ha aiutato a inaugurare la delegazione di Varese, e poi Genova e Torino, scomparso non molto tempo fa proprio per un tumore al polmone. Penso anche a Brusati, uno dei pionieri di anvolt Novara e poi a Filippo Sicilia che ha “aiutato” i natali di anvolt a Vicenza, Verona, Padova, Catanzaro e Catania.
Grazie al loro impegno, e a quello di tante altre persone, i cittadini hanno cominciato a sentir parlare dell’associazione con assiduità e finalmente ovunque, nelle corsie degli ospedali, i parenti in difficoltà hanno iniziato a sentire di un’offerta in più di aiuto. Di un’associazione che tendeva loro una mano. Senza chiedere nulla in cambio a chi necessitava direttamente dei suoi servizi, ma contando solo sulla generosità dei sostenitori. Nel corso degli anni l’attività è cresciuta anche se non è stata tutta rose e fiori, e ribadisco che il dover combattere con un certo tipo di diffidenza è stata una costante delle nostre giornate.
Diffidenza non solo verso chi chiedeva soldi al telefono, ma anche nei confronti di chi aveva la pretesa, secondo alcuni, di sostituirsi all’attività degli ospedali o di certe grandi strutture private che tradizionalmente operano in questo campo di attività. La nostra riposta è sempre stata che noi vogliamo essere una risorsa in più per i cittadini, un valido aiuto alla struttura pubblica con la quale operare in sinergia e un concorrente leale, disinteressato, di chi – da privato – eroga dei servizi simili ai nostri. Lo dico perché è giusto parlare delle difficoltà che abbiamo incontrato in questo lungo cammino e altrettanto corretto descrivere come abbiamo cercato di superarle, sempre nel segno della chiarezza e della trasparenza.
Con il trascorrere del tempo abbiamo compreso poi che era necessario occuparci di un altro aspetto fondamentale nel contrasto dei tumori, forse il più importante di tutti perché in grado di contrastare a priori la patologia. Oltre ai trasporti e all’assistenza abbiamo abbracciato il campo della prevenzione. Era evidente che la soluzione migliore per prevenire il cancro stava nel controllarsi per tempo e con regolarità e abbiamo così deciso di aprire degli ambulatori che effettuassero visite di prevenzione dei tumori femminili in orario post lavorativo. Un orario comodo per le donne che, impegnate in ufficio, non avevano la possibilità di farsi una visita di controllo a causa della mancanza di tempo e delle difficoltà organizzative della vita professionale.
In breve, dopo l’inaugurazione del primo a Vicenza, gli ambulatori hanno registrato un tutto esaurito e sono diventati il vero cuore pulsante della nostra attività. Ne abbiamo aperti in 20 città fino all’ultimo, inaugurato a Predazzo in Trentino. Abbiamo in seguito aggiunto un’altra mattonella. Un aspetto decisivo legato al tema della prevenzione è la lotta al fumo di sigaretta, per contrastare il quale ci siamo inventati un concorso di disegno per bambini, “Lotta al tabagismo”, in cui i bambini delle scuole elementari vengono impegnati nella realizzazione di un disegno su questo tema, potendo aggiudicarsi una settimana premio a Roma insieme ai loro genitori. Siamo giunti alla XIX edizione e il concorso ha allargato di molto il suo raggio d’azione fino a “espatriare” in Bulgaria, Romania, Ucraina, Macedonia, Estonia, Turchia e Moldavia. In Romania siamo stati tra i primi a portare il concetto di volontariato – che in quei luoghi non si conosceva – attraverso progetti di difesa dei bambini colpiti dall’Hiv. Nel frattempo ci siamo legati a personalità del mondo medico che apprezzassero l’operato dell’associazione, in maniera da conquistarci la meritata legittimità a livello scientifico e istituzionale.
Non posso non citare in questo percorso personalità del calibro del dr. Landonio, con il quale abbiamo organizzato i primi progetti di prevenzione, il dr. Pellai, che ha cominciato a collaborare fattivamente con noi nel medesimo ambito, il dr. Suprani, Capitano del Terzo Corpo D’Armata che ci ha aiutato a realizzare uno dei primi convegni internazionali organizzati dall’associazione insieme con la N.A.T.O. Personaggi che, una volta conosciuta, hanno da subito apprezzato anvolt sostenendone l’attività attraverso la loro presenza ai convegni e la consulenza professionale, donandole lustro.
Queste persone insieme ai delegati responsabili degli uffici locali, alcuni dei quali ci accompagnano ormai da molto tempo, sono coloro che hanno permesso la costruzione del castello dalle solide fondamenta in cui “viviamo” oggi. Anche a livello locale infatti abbiamo portato avanti con successo progetti che ci hanno permesso di far nascere e consolidare il rapporto con le istituzioni. Proprio queste ultime ormai ci riconoscono come degli interlocutori affidabili nella gestione di un certo genere di servizi sociali. Penso a progetti come “Trent’anni di Solit’Udine” nella città friulana o alle iniziative messe in atto con il CSV (Centro Servizi per il Volontariato) nella città di Novara. Sono solo due semplici esempi del grande mare di iniziative che i delegati anvolt portano avanti con successo da tempo in tutta Italia.
Oggi che compiam o trent’anni, e nonostante le difficoltà cresciamo attraverso l’inauguraz ione della delegazione di Parma, non posso far altro che ringraziare tutti i membri della nostra serena famiglia allargata. Penso ai sostenitori e ai volontari, a quelli di antica data e a quelli nuovi, senza il cui entusiasmo il racconto che avete potuto leggere in queste pagine avrebbe di certo avuto uno svolgimento diverso e meno piacevole. Infine, è giusto anche dare uno sguardo al futuro. Come ho già preannunciato, il 2014 sarà il mio ultimo anno alla presidenza dell’associazione, una carica entusiasmante ma al tempo stesso gravosa di impegni che non me la sento più di affrontare.
So però di lasciare anvolt in buone mani. Nel corso del tempo per esempio una nuova generazione, anche grazie al Servizio Civile, è cresciuta fianco a fianco alla “vecchia guardia”, e ha rinfocolato le fila dei volontari che ogni giorno combattono la pesante battaglia della lotta ai tumori. Diverse idee e spunti di progettazione nel campo della p r e v e n z i o n e sono allo studio per essere realizzati nei prossimi anni, in Italia e all’estero. Il monitoraggio del territorio è costante, in maniera che c e r t a m e n t e presto nuove bandierine con il vessillo dell’associazione spunteranno in luoghi d’Italia dove ancora non siamo presenti. In questo momento di celebrazione – pur velato da un velo di malinconia – mi guardo indietro e vedo trent’anni di battaglie culminate da risultati positivi. Che sono in grado di garantire, per quelli a venire, una serie di soddisfazioni per il mondo anvolt.


di Osvaldo Previato – Presidente anvolt

domenica 30 marzo 2014

Giornata del volontariato



Giornata del Volontariato

Vi ricordiamo, e per chi non lo sapesse prenda questo come un invito,che si terrà il 10 e l'11 Maggio 2014 a Pogliano Milanese per la 3° Giornata del volontariato. Queste giornate sono, per associazioni come noi, delle opportunità uniche per incontrare voi, che ci aiutate, e di conoscere altre realtà attraverso molte altre associazioni simili alla nostra.

EFT

venerdì 28 marzo 2014

Parma anno zero-Flavio Naso

Parma anno zero

Flavio Naso



Flavio Naso è il responsabile marketing e comunicazione di anvolt a Parma. Seguirà i progetti che verranno messi in funzione, in primis le campagne informative riguardanti l’ambulatorio per le visite di prevenzione.
Come è arrivato al ruolo di corresponsabile di anvolt a Parma?
«Ho svolto tutta la mia carriera sempre a contatto con il pubblico, prima come commerciale nelle multinazionali poi aprendo alcuni negozi. Mi è stato proposta la possibilità di collaborare con realizzazione dei banchetti informativi dell’associazione, l’esperienza è stata positiva e infine si è arrivati a questa nuova avventura che per me è una sfida affascinante: mi dà la possibilità di continuare a stare a contatto con il pubblico e, al tempo stesso, di dare una mano alle persone che sono in difficoltà. Cosa che è nel mio Dna».

Per quale motivo?
«Perché anche in passato ho avuto a che fare col mondo del volontariato, l’universo della gente bisognosa e ho subito sentito un profondo legame con questo genere di realtà. Inoltre ho vissuto la tragedia del tumore in famiglia, dal momento che ne è stato colpito il padre di mia moglie e siamo stati al suo capezzale durante il periodo più difficile della malattia. Questa è stata un’esperienza che mi ha segnato e, al tempo stesso, insegnato molte cose».

Cosa per esempio?
«Che non si fa mai abbastanza per godere di ciò che si ha quando si è in salute e che il valore dell’assistenza nei momenti di difficoltà è veramente alto».

Cos’ha in programma per la delegazione anvolt di Parma?
«Per prima cosa un’attività informativa che ci permetta al più presto di diventare una realtà ben conosciuta in città. Il mio obiettivo è che si pronunci il nome anvolt e la gente abbia immediatamente chiaro di che cosa si tratta. In secondo luogo di iniziare al più presto l’attività dell’ambulatorio, chiave fondamentale anche per farci conoscere. I riscontri che abbiamo avuto finora, parlandone con la gente e distribuendo volantini informativi, sono molto positivi. I cittadini apprezzano l’avvento di un servizio del genere in città, tra l’altro in una zona di parcheggio libero visto che centro e dintorni sono Ztl (zona traffico limitato ndr)».

Quali sono le sue mansioni nel quotidiano?
«Data anche la mia esperienza lavorativa precedente – e il fatto che mi posso avvalere di una delegata – oltre alla gestione generale dell’ufficio mi occuperò in particolare della parte di marketing e comunicazione. È un aspetto davvero importante visto che alcune ricerche che abbiamo fatto ci dicono che quella di Parma è una popolazione giovane, per cui comunicare bene e fare iniziative è fondamentale».

Che sentimento la sostiene in questo genere di attività?
«L’energia che mi deriva dalla personale necessità di affrontare continuamente nuove esperienze».

È una di quelle persone di continuo alla ricerca di stimoli?
«Gli stimoli in un’attività come questa – date le finalità – arrivano facilmente. Parlerei piuttosto di obiettivi: mi piace avere delle mete da raggiungere e il buon esito dell’attività di anvolt a Parma è un obiettivo importante e, secondo il mio punto di vista, alla portata. A patto, ovvio, di metterci un enorme impegno. Cosa che faremo».

Quale finalità si pone per il primo anno di vita di anvolt Parma?
«Di inserirci bene nel tessuto sociale cittadino e consolidare l’attività dell’ambulatorio che, come ho già sottolineato, desideriamo inaugurare al più presto».

giovedì 27 marzo 2014

Festa di Affori


 Festa di Affori



Anvolt ha deciso di partecipare, con il suo immancabile stand, all'annuale festa di Affori (13 Aprile 2014) per farci conoscere di più sul territorio e incontrare vecchi e nuovi amici.Il tema della festa di quest'anno sarà "il riciclo" e abbiamo deciso di realizzare un mini laboratorio di origami per i più piccoli. L'origami è un'arte giapponese che consiste nel piegare la carta per creare figure diverse: uccelli, fiori e altro. Speriamo in una consistente partecipazione e di divertire così i più piccoli.Quindi non mancate il 13 Aprile ad Affori !

      EFT

mercoledì 26 marzo 2014

Una mano tesa ad anvolt, nel nome del padre.

 

Una mano tesa ad anvolt, nel nome del padre.

Bruno Bertani


Così, ogni settimana, accompagnava una ragazza non vedente dalla nascita – e più o meno della sua età – a spasso per Parma. Era simpatica, con un senso dell’umorismo molto delicato, lo teneva sotto braccio e gli raccontava le ultime barzellette sentite dalla radio. L’unica cosa che lei gli chiedeva era di parlarle di continuo di tutto quello che vedeva intorno a loro.
Per farle piacere Andrea non si fermava mai, spesso si inventava anche delle cose inverosimili, ma sempre divertenti. Lei faceva finta di crederci, dal suo mondo privo di luce aggiungeva dettagli ancora più surreali che li facevano ridere come matti.
Una volta, però, Andrea, studente di Economia, l’ha fermata proprio davanti a un negozio di scarpe, ha guardato a lungo i modelli esposti e le ha detto serio: “Ah, in questa vetrina c’è un paio di scarpe azzurre bellissime, che ti comprerò con il mio primo stipendio da commercialista!”. “Ma che cosa è l’azzurro?” gli ha risposto immediatamente la ragazza. Per la prima volta da quando passeggiavano insieme Andrea è rimasto così a bocca aperta.

Andrea Bertani



























Sentiva dentro di sé che doveva darle una risposta, magari spensierata ma valida per la sua anima che non aveva mai ammirato i colori. Purtroppo non l’ha trovata questa risposta, la ragazza si è intristita e lui non ha dormito tutta la notte, crogiolandosi per non aver saputo trovare le parole giuste. Dopo un po’ Andrea ha deciso di andarsene dall’associazione, spiegando al suo presidente che per lui essere un bravo volontario significava soprattutto caricare le persone assistite di ottimismo, di speranza e di non deluderle mai. Doni che Andrea sentiva di non possedere, ecco perché preferiva non continuare.
Rimanendo però convinto che il volontariato fosse una cosa molto buona, la vera eminenza della solidarietà. Nello stesso tempo una cosa molto difficile da fare e carica di responsabilità. Insomma, utilissima quando fatta come si deve e svolta da persone come lui, per bene, non solo però dotate di un cuore grande come il suo, ma capaci di trovare una soluzione rapida anche nelle situazioni più delicate e ostiche.
Andrea ha cominciato a pensare intensamente a questa vecchia vicenda, quando ha saputo da amici che un’associazione nazionale di volontariato in campo oncologico aveva intenzione di sviluppare la sua attività anche a Parma.

Andrea Bertani
Il suo amatissimo papà Bruno si era spento di cancro nel 2011, a 69 anni, e prima di lasciarli aveva chiesto a lui e alla sorella Elena di aiutare chi si occupa della prevenzione di questa brutta malattia e assiste chi ne è colpito. Perché lui se ne era andato da questo mondo per colpa di un semplice melanoma, che se fosse stato scoperto prima, durante una visita di prevenzione, forse poteva essere fermato. E Andrea ricorda dei sei mesi terribili prima che il padre li lasciasse, quando c’è stato tanto bisogno di qualcuno accanto a lui. E con questo pensiero in mente, quando hanno saputo della volontà dell’associazione di operare nella sua città natale, hanno avuto un’idea.
In breve hanno pensato di proporle come base per la sua attività un piano dell’edificio che il papà aveva costruito non solo come sede della sua ditta di telefonia, ma anche per andarci in un futuro a vivere. Purtroppo non ha dormito neanche una notte lì, ma adesso i fratelli potranno perfettamente soddisfare uno dei suoi ultimi desideri – dare una mano a coloro che aiutano, senza paura, gli ammalati di cancro sacrificandosi giorno dopo giorno. “Ma ricordando la mia esperienza di volontario – racconta oggi Andrea nel nuovissimo ufficio di anvolt a Parma – subito dopo aver saputo il nome dell’associazione, mi sono messo a fare delle ricerche per vedere se fosse un’istituzione valida”.
Perché secondo il quarantenne imprenditore, che oggi gestisce la ditta del papà, in giro ci sono tante strutture che si vantano di aiutare gli altri, ma con l’unico obiettivo di fare qualche soldo sporco, sfruttando il male della gente. Ha letto il sito dell’anvolt, ha fatto delle telefonate nella sede centrale dell’associazione a Milano e in diverse delegazioni, spesso facendo finta di essere un ammalato in cerca d’aiuto.
A parte le risposte positive alle sue domande, durante le sue ricerche Andrea si è convinto anche che i volontari di anvolt sono fatti della pasta giusta per questa vocazione, composta di cuore, capacità di reazione e passione. Allora ha telefonato a Milano proponendo “il piano di papà” a un prezzo di affitto simbolico e ricevendo subito dei ringraziamenti sinceri. “Sono sicuro che papà sarà contento e vi aiuterà da lassù per fare del bene a Parma” dice oggi Andrea e i suoi occhiali si coprono del fumo di un pianto nascosto, ma liberatorio.
RM

 

lunedì 24 marzo 2014

La ricerca: passione quotidiana


 La ricerca 
è fatta di passione quotidiana


Un diploma al liceo classico di Conversano, in Puglia, poi la laurea alla Università Cattolica di Roma e due specializzazioni, infine il lavoro nella divisione di Oncologia pediatrica dell’università. La dottoressa Anna Lasorella nel 1993 è emigrata a San Francisco dove è rimasta per tre anni presso l’Università della California. Poi il ritorno in Italia e il definitivo ritorno negli Usa prima all’“Albert Einstein College of Medicine” e successivamente come ricercatrice del Departimento di Patologia e Biologia Cellulare e Pediatrica dell’“Institute for Cancer Genetics” della Columbia University di New York. La sua ricerca è focalizzata sui vari tipi di tumore al cervello.

Qual è la situazione della lotta al tumore al cervello?
«Insieme con il tumore al pancreas, quello al cervello purtroppo è il cancro più incurabile di tutti con un’aspettativa di vita media di non più di 15 mesi. Insieme alla equipe del prof. Iavarone abbiamo scoperto lo Huwe1, il gene che aiuta le cellule staminali a svilupparsi e a diventare adulte. La ricerca, che si è meritata la copertina della rivista internazionale Developmental Cell, dimostra che lo stesso gene è coinvolto anche nel più aggressivo fra i tumori del cervello che colpisce bambini e adulti, il glioblastoma multiforme. La scoperta promette di avere conseguenze importanti sulla ricerca di base relativa alle cellule staminali, ma getta anche le premesse per future terapie contro i tumori. Abbiamo ipotizzato che l’attività di Huwe1 possa essere bassa nelle cellule dei tumori del cervello umano. Stiamo tentando di organizzare dei trial clinici internazionali sulla base di questa scoperta».

Su quali basi siete potuti arrivare a un genere di scoperta come questa?
«Tra le altre cose – lo abbiamo pubblicato su “Nature Genetics” – sul fatto che la nostra équipe ha realizzato una mappatura genetica completa del tumore al cervello, aprendo la strada alle terapie personalizzate. Un annuncio in grado di esaltare la comunità scientifica internazionale e di suscitare insperate aspettative per il terribile male. Noi alla Columbia siamo ora in grado di realizzare in 24 ore una mappatura completa delle alterazioni genetiche in una cellula tumorale, l’operazione per intenderci che ha richiesto dieci anni di lavoro al team di Craig Venter quando tracciò la mappa del genoma umano. Ora, se le case farmaceutiche collaborano, possiamo creare farmaci di volta in volta capaci di colpire ogni singolo tumore. Il problema non è più organizzativo, perché basandoci su tutti nostri studi la maggior parte del lavoro è già fatta: è solo finanziario. Ma gli investimenti necessari non sono più proibitivi. Proprio di questo tumore mancava la mappa genetica. Ora stimiamo che il 15 per cento dei malati potrà curarsi selettivamente con farmaci già esistenti. Ecco la svolta».

In che senso selettivamente?
«La chemio può aver debellato il 99,9 per cento delle cellule, ma in quello 0,1 che resta si annidano spesso proprio quelle staminali. Per questo è fondamentale la ricerca che abbiamo annunciato: offre una visibilità completa sul patrimonio genetico di ogni singolo tumore e permette di scoprire tutti i segreti del Dna di ogni singola molecola maligna, fino a colpire proprio le cellule killer».

Di cosa vi state occupando in questo momento?
«Continuiamo ad analizzare i tumori per capire se sia possibile suddividerli in altri tipi sulla base di lesioni comuni ».

Il futuro sono le nuove terapie personalizzate sia nei tumori dei bambini sia in quelli degli adulti?
«Sì proprio perché sono tumori differenti gli uni dagli altri, e presentano ognuno un tipo di lesione particolare che va trattata in maniera diversa. Ricordiamoci che le nostre scoperte ci dicono che tumori istologicamente uguali analizzati con tecniche sofisticate appaiono invece molto diversi. Il background di ciascun tumore è differente da ogni altro».

Esiste un qualsiasi genere di prevenzione per il tumore al cervello?
«Purtroppo no, non esiste un comportamento da tenere per poterlo evitare. In questo caso – parlo da ricercatrice – una forma di prevenzione può essere però quella di conservare piccoli pezzi di tumore in laboratorio, da poter analizzare in seguito, una volta in possesso di nuovi dati e in maniera da fare avanzare la ricerca».

Qual è la sua personale idea della prevenzione?
«Quella che ho appena raccontato, aiutare il più possibile la progressione della ricerca con gli strumenti che abbiamo. E fare corretta informazione».

È possibile fare un paragone tra la ricerca in Usa e in Italia?
«Ahimè no, siamo su due pianeti completamente diversi. In Italia chiunque se vede un topino in casa sua cerca di farlo fuori, poi si fanno le leggi per difendere topi da laboratorio – trattati assolutamente con dignità – che sarebbero utilissimi per la ricerca».

A un giovane che si iscrive oggi alla facoltà di Medicina, con il sogno di diventare un ricercatore, lei che consiglio darebbe?
«Se non ha voglia di fare 15 ore in laboratorio e preferisce andare a giocare a tennis lasci perdere. Non c’è una via breve per arrivare al successo in questo genere di attività. Consiglio di avere il coraggio di non porsi dei limiti di tempo, di spazio, di luoghi. Di andare dove c’è il meglio. Di non aver paura di sacrificarsi, di fare delle scelte forti. Se non si ha la determinazione sufficiente per affrontare le sfide che il mondo della ricerca impone, meglio a quel punto fare il medico, l’attività di reparto, di corsia altrettanto importante».

Sarà mai possibile sconfiggere definitivamente il cancro?
«Credo di no in maniera assoluta ma probabilmente si potrà rendere una malattia cronica, da poter tenere sotto controllo. Noi stiamo lavorando proprio con questo obiettivo».